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Hikikomori e ritiro sociale delle nuove generazioni

Il testo del mio intervento in Regione Lazio a maggio 2023 per sensibilizzare su Hikikomori e dipendenze online.

GLI HIKIKOMORI: COSA SAPPIAMO DEL DISTURBO DEL FUTURO
Società digitale e ritiro sociale affrontati con chi lavora con loro

In una società che sta conquistando lo spazio, si appresta ad affrontare l’invecchiamento cellulare per non morire e adatta i suoi bisogni agli algoritmi delle Intelligenze Artificiali, e che quindi pone l’uomo in termini sensazionalistici, sembra non esserci lo spazio per pensieri negativi, per chi non va al ritmo di questa euforia; di chi alla conquista dello spazio, preferirebbe quella della sua pace.

Nonostante la pandemia del Covid abbia riportato alla luce le fragilità emotiva e psicologica dell’uomo, il tema è ancora difficile e talvolta preso alla leggera: inconsciamente, molte persone potrebbero vivere un disagio interiore a cui non sanno dare una spiegazione, e che rischia di portarle ad un punto di rottura, laddove l’unico dolore contemplato è quello fisico.

Un target che sta soffrendo molto il contesto post-pandemico e in generale i cambi repentini della società, è quello degli adolescenti e dei giovani, che mai come in questo momento storico sentono di essere cresciuti su quella che rimane di una promessa infranta: in un limbo tra passato e futuro, figli di una mentalità che nella maggior parte dei casi appartiene a un tempo e a condizioni economiche e di vita ormai dissolte, in bilico tra un mondo che sta svanendo, e il nuovo che tarda ad arrivare. Riconoscere il contesto in cui si vive come non adatto o addirittura cattivo, ci porta a difenderci come si può, anche se questo talvolta, può significare dileguarsi dalla vita.
Tamaki Saito è uno psichiatra giapponese che ad oggi è il massimo studioso di una categoria di persone che si sono autoescluse dalla società, vivendo reclusi senza contatti con l’esterno, gli hikikomori. Per capire meglio questo fenomeno, abbiamo chiesto al Dottor Marco Paoloni, psicologo e psicoterapeuta che collabora con l’equipe del Lazio per Hikikomori Italia, di parlarci di questo fenomeno tanto opaco quanto in realtà presente e ancora poco riconosciuto, con un focus sulla sfera riguardante i giovani.

Chi è un hikikomori?
Una persona che volontariamente decide di smettere di investire nelle relazioni sociali. Che significa? Mi chiudo dentro casa perché all’esterno ho percepito che il mondo in qualche modo è pericoloso.
I fattori scatenanti sono molteplici, può essere per un litigio, una delusione particolare, anche un’interrogazione che va male, un rapporto difficile con i professori, arrivando a episodi di bullismo. Il primo segnale in tanti casi è l’abbandono scolastico, e in seguito ad un evento scatenante, decidono di rimanere a casa. A quel punto, cominciano a frequentare solo le amicizie esterne all’ambiente che crea disagio. Dopodiché, molto spesso i ragazzi tendono a smettere di uscire anche con quelle amicizie che prima erano viste come positive; gradualmente, si esce sempre di meno lasciando anche tutte le attività quotidiane, come ad esempio lo sport. In questo contesto diventa inevitabile che anche con la figura genitoriale si creerà un attrito, per l’abbandono della scuola e il non capire il perché di alcuni comportamenti, così l’unico posto visto come rifugio sarà nella propria camera. In un’escalation di poco tempo, un ragazzo che prima apparentemente stava bene, va in chiusura 24 ore su 24. Ci sono dei segnali che la precedono, ma spesso vengono confusi come atteggiamenti e/o situazioni facenti parte dell’adolescenza e della crescita, e si tende a bypassarle.

C’è un’età più “sensibile”?
Ho lavorato con pazienti da 12 fino a 50 anni, perché in realtà queste persone esistono da sempre, solo che in passato non venivano minimamente considerate. In Giappone dagli anni 80’ c’erano casi di persone che praticamente sparivano dalla società. L’etica giapponese portava tante volte a rispettare quel disagio, ma senza rivelarlo all’esterno. Volevano il vanto della famiglia, quindi talvolta quando gli amici di un hikikomori chiedevano notizie del figlio, le famiglie rispondevano che è partito per l’Europa, o che era sempre a lavoro, perché provavano una forte vergogna. Spesso accadeva che ci si accorgesse di queste persone solo alla morte dei genitori, quando al figlio doveva essere notificato della loro dipartita o quando lui stesso magari chiamava i soccorsi per prestare aiuto. Il concetto è che quando mi ritiro dentro casa, è facile passare inosservato. Divento una persona invisibile, non ho carta di credito, non ho conto in banca, non sono iscritto a università, non lavoro, non esisto.
È difficile stimare quanti hikikomori ci siano in Italia, c’è chi dice 500.000, chi 100.000… da un punto di vista diagnostico non c’è una certificazione della patologia, molte associazioni si sono mosse negli ultimi anni ed è un po’ come essere i pionieri di un qualcosa che ancora deve essere definito ma che con buone probabilità sarà il disturbo del futuro. È più probabile che alle dipendenze di oggi, i nostri figli possano andare incontro al ritiro sociale poiché tutto si sta spostando online: amicizie, giochi, relazioni…cambia la società in cui viviamo e di pari passo cambiano i disturbi psicologici.

Come si affronta?
Bisogna cercare di capire cosa ha portato il paziente ad aver paura del mondo esterno. Poi si lavora sulla famiglia, sugli amici, obiettivi futuri, fargli riprendere sicurezza e fiducia nella società esterna. Sono processi lunghi perché tante volte è difficile lavorare con una persona che non vuole farlo. Non tutti riconoscono in sé il problema e si attivano per risolverlo. Nel caso di ragazzi solitamente sono i genitori a chiedere aiuto, e perciò il ragazzo non cercandolo e non avendo consapevolezza del perché i suoi genitori lo facciano, tende ad opporsi. Chi interviene su questi pazienti è egli stesso la chiave per fargli riprendere contatto con l’esterno, ad esempio accompagnandolo a scuola, portarlo a parlare con un amico con cui hanno discusso o con i genitori su come affrontare la situazione…un lavoro di equipe insomma. I genitori sono fondamentali in tutto questo processo perché sono il tramite tra l’esperto e il paziente.
Perché, come nel caso degli hikikomori, tendiamo ad escluderci quando ci sentiamo minacciati?
Tutti noi in seguito ad un problema abbiamo avuto la tendenza ad evitarlo. È un meccanismo di protezione. Attacco qualcosa se so di poterla vincere, se non abbiamo la convinzione di riuscirci, allora fuggiamo. Dipende tutto dalla percezione di auto efficacia, la percezione che noi abbiamo di poter portare a termine una determinata azione, e questa varia da persona a persona in base al suo vissuto, alle sue esperienze. Se ad esempio ti chiedessi di spostare una scatola da una parte all’altra, probabilmente lo faresti perché ti senti in grado. Se invece ti chiedessi di costruirmi da zero la casa dove vorrei mettere questa scatola, forse non lo faresti. Non stai andando ad affrontarla come situazione, ma ti sei ritirato, perché non ti senti in grado di affrontarla. Nella società funziona un po’ così, qualcuno ti fa una battuta, ti ferisce, accadono situazioni che ti mettono paura e che hai paura riaccadano, che senti di non essere in grado di fronteggiare, quindi fuggi da esse.

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